«Oggi non è il momento della pace»

Intervista di Vittorio Sergi a Viktoria Pigul
Kyiv, 10 luglio 2022

Incontro Viktoria due giorni dopo la pubblicazione di un manifesto femminista a favore della resistenza ucraina armata.[1] Anche in questo campo, come in quello dell’an­tifascismo, le divisioni e le incomprensioni tra Est e Ovest dell’Europa si moltiplicano. Ci sediamo in una piazza accan­to a una fontana, poco più in là ci sono delle famiglie che fanno foto alla Porta d’Oro, una monumentale vestigia delle mura di Kyiv risalente all’XI secolo. Da allora la guerra non ha lasciato questa terra.

 

VITTORIO. Quali sono le vostre pratiche qui a Kyiv e in Ucraina in termini di organizzazione? Quali sono i vostri progetti?

VIKTORIA. Partecipiamo al progetto umanitario Solidarity Collectives, ci sono molte donne con bambini che hanno bisogno di cibo e altri beni di prima necessità. Abbiamo in piedi diverse campagne, come quella per i lavo­ratori in sciopero e per difendere i diritti del lavoro, perché il governo ha provato a far passare una legge che comprime i diritti dei lavoratori. Ieri (9 luglio) abbiamo ottenuto una piccola vittoria perché il parlamento ha cancellato, almeno temporaneamente, l’iter legislativo. Abbiamo avviato questa campagna assicurando assistenza legale in caso di li­cenziamento ingiustificato. Stiamo sostenendo in tribuna­le alcune cause a favore di donne che sono state licenziate ingiustamente: pensate che alcune sono state licenziate via Messenger e hanno perso anche dei mesi di salario. L’altra campagna riguarda la cancellazione del debito estero dell’U­craina, questo ci aiuterebbe tantissimo a ricostruire il paese perché vengono spese attualmente grandi somme di denaro per sostenere le forze armate. Abbiamo tante città distrutte e abbiamo bisogno di molte risorse.

Io faccio parte della rete europea di solidarietà con l’Ucraina[2] e abbiamo preparato il manifesto femminista in questo contesto. Un’altra parte importante del nostro lavoro è la petizione a favore della legalizzazione dell’abor­to in Polonia [illegalizzato nel 2021 dal governo populista conservatore] perché abbiamo rilevato la difficile situazione delle donne che sono state violentate nei territori ucraini oc­cupati. Nei primi giorni dopo aver subito la violenza non hanno accesso alla contraccezione di emergenza e quando riescono ad allontanarsi dai territori occupati e arrivano in Polonia come rifugiate sono scioccate perché lì non possono abortire. Nel nostro paese siamo abituate ad avere garantito l’accesso all’aborto. Così devono andare in Repubblica Ceca oppure tornare a Leopoli, in Ucraina, per poter abortire.

 

Quali sono le condizioni nel quadro legale per le donne che vogliono combattere? L’accesso all’esercito è uguale per donne e uomini o ci sono degli ostacoli informali per le donne che vogliono prendere le armi?

Le nostre forze armate sulla carta hanno 250.000 com­battenti, di cui 35.000 sono donne. Non è tanto ma non è nemmeno un numero piccolo. Sperimentiamo il sessismo nelle forze armate, alcuni equipaggiamenti non sono adatti alle donne e altri bisogni specifici delle donne non ricevo­no adeguate risposte. Abbiamo un’associazione di volonta­rie che sostiene i bisogni delle donne nelle forze armate in questa situazione di guerra. Nella Difesa territoriale ci sono molte donne e, per quanto sappia io, non ci sono problemi al loro accesso.

Il sessismo è certamente molto presente nella satira in te­levisione e sul web, con scherzi e battute sessiste sulle donne nelle forze armate, con prese in giro per chi non si arruola nella Difesa territoriale ed è accusato di essere una donna, oppure nel caso scandaloso delle soldatesse fatte sfilare con i tacchi alti: non è certo così che si combatte in prima linea! Noi diciamo che se le donne vogliono combattere nelle forze armate questa è una loro scelta. Abbiamo affermato che la cosa più importante è però il diritto delle donne di difender­si dall’aggressione russa. Abbiamo tante persone che sono già morte per questo motivo e oggi non è il momento della pace. La pace astratta o in linea di principio non è quello di cui abbiamo bisogno, perché adesso dobbiamo difendere noi stesse.

 

Quale era la situazione in Ucraina per le persone LGBTQ+ prima della guerra e come il conflitto l’ha cambiata?

Penso che, in complesso, abbiamo una mentalità meno conservatrice in Ucraina rispetto alla Russia. Ad esempio adesso sta circolando una petizione per legalizzare il matri­monio tra persone dello stesso sesso e abbiamo raggiunto le 250.000 firme, perciò il presidente ci dovrà dare una rispo­sta. Spero che dica qualcosa di chiaro e netto, perché solita­mente le risposte a queste petizioni popolari sono ambigue e vaghe. Ci sono alcune ONG che forniscono delle case sicure per persone trans e che lottano per i loro diritti. Fuori dalle città però la mentalità è ancora molto conservatrice e l’in­fluenza delle chiese ortodosse è molto forte.

Abbiamo ancora parecchia strada da fare per assicurare la difesa dei diritti di base delle persone trans. In molte situa­zioni gli attivisti della destra hanno assalito i posti dove si ri­trovano le persone LGBTQ+; ad esempio poco prima dell’i­nizio della guerra degli attivisti fascisti hanno distrutto un famoso pub di Kyiv accusato di essere un ritrovo di persone LGBTQ+. È stata un’azione brutale e, in effetti, devo dire che i miei amici che rappresentano le posizioni LGBTQ+ nella società non si sentono sicuri.

 

[1] The Feminist Initiative Group. «The right to resist». A feminist manifesto

[2] https://ukrainesolidaritycampaign.org.

 

Vittorio [Sergi], Diario di viaggio in Ucraina, luglio 2022, “Malamente. Rivista di lotta e critica del territorio”, n. 26, settembre 2022, p. 28-30

Viktoria Pigul è co-autrice di «The right to resist». A feminist manifesto