Ciclo di incontri “Movimenti, poteri, guerre”, Spazio autogestito Arvultura, Senigallia.

Presentazione di “Qui siamo in guerra. Anarchia, antifascismo e femminismo in Ucraina, Russia e Bielorussia. Scritti e testimonianze”, Edizioni Malamente.
15 febbraio 2023

 

SERGIO. Siamo al secondo appuntamento del ciclo di presentazioni su “Movimenti, poteri, guerre”. Questa sera presentiamo il libro Qui siamo in guerra. Anarchia, antifascismo e femminismo in Ucraina, Russia e Bielorussia. Scritti e testimonianze, lo facciamo con Pierfrancesco Curzi, giornalista de “Il Fatto quotidiano”, Vittorio Sergi delle Edizioni Malamente che hanno pubblicato il libro e Roberto Mancini della Rete per la pace subito.

Come abbiamo visto in questo anno, il dibattuto sulla vicenda ucraina è stato ed è tuttora molto acceso. Credo che al di là di alcuni punti fermi sia in effetti una questione complessa, in cui è difficile schierarsi unilateralmente. Stasera metteremo a confronto tre posizioni che riassumo in poche parole: Pierfrancesco fin dall’inizio dell’invasione si è detto favorevole all’invio di armi; Vittorio porta una posizione che si potrebbe dire “eretica”; Roberto rappresenta la rete pacifista locale che ormai da diversi mesi, una volta a settimana, organizza un sit-in in piazza per chiedere la fine della guerra.

La questione si può affrontare con uno sguardo lungo, riflettendo sul dopo ’89, sulla fine della Guerra fredda, prendendo ad esempio spunto da un importante libro di Paul Kennedy, Ascesa e declino delle grandi potenze (uscito nel 1987), che già allora, mentre si delineava il crollo dell’impero sovietico, analizzando le varie fasi storiche sottolineava l’illusione di creare un mondo unipolare e parlava piuttosto di mondo multipolare, anticipando l’ascesa nei decenni successivi della potenza cinese.

Restringendo il campo alla guerra in corso, il dibattito attorno a questo tema ha attraversato in maniera trasversale i movimenti sociali, al loro interno si è discusso in maniera talvolta animata, visto l’incontro e lo scontro di posizioni diverse. Questa sera è un’occasione per riflettere senza alzare barricate, portando punti di vista e ragioni contrastanti su quanto sia cambiato il mondo in quest’ultimo anno, consapevoli che questo non è l’unico fronte di guerra ma essendo nel cuore d’Europa pone evidentemente problemi drammatici, per un’eventuale escalation che può avere dal punto di vista militare e che sta già avendo dal punto di vista politico.

 

PIERFRANCESCO. Io sono un giornalista freelance (precario), collaboro con “Il Fatto quotidiano” per gli esteri, in passato sono stato in Libia, Afghanistan, Siria, Iraq, Venezuela, Cecenia, Nord Africa e altri posti ancora. In quest’ultimo anno ho seguito il conflitto in Ucraina, sono stato lì cinque volte (la sesta sarà tra una settimana). Ho approcciato il conflitto in modo graduale. La mia prima missione è stata a Leopoli, una città dell’Ucraina occidentale, dove sono andato con una missione di aiuto alla popolazione civile. Nei successivi viaggi sono entrato più a fondo e ho toccato tutti gli scenari e i fronti militari attivi in questo momento: Kiev (con la battaglia alle porte della capitale nel mese di marzo dell’anno scorso), Kharkiv, Dnipro, Zaporizhzhia e il Donbas. Mi manca la parte meridionale del fronte, quella di Odessa, Mykolaiv e Kherson.

Io non ho alcuna inclinazione da guerrafondaio. Come giornalista, ma come tutti, sono un osservatore, ho le mie emozioni e il mio cervello per capire cosa sta succedendo in un determinato luogo. Già dal mio primo viaggio mi sono subito fatto un’idea di quella che era la situazione dell’Ucraina, in particolare rispetto alla narrazione che qualcuno faceva qui in Italia, secondo la quale l’invasione russa era giustificata dal fatto che dal 2014 al 2022 i “cattivi” erano stati gli altri. Non è andata esattamente così, e credo non sia solo il mio punto di vista ma è la storia a raccontarla diversamente.

Io mi chiedo come sarebbe la situazione in Ucraina in assenza degli aiuti militari. Lo dico pensando ad esempio a Kharkiv – seconda città del paese, a trenta chilometri dal confine, con quasi due milioni di abitanti – dove prima del conflitto la gente parlava solo russo. Ora è una delle città che in proporzione ha subito il maggior numero di attacchi; alla fine di marzo dell’anno scorso l’esercito russo è entrato direttamente in città e ci fu una settimana di combattimenti. La città ha resistito, i russi si sono ritirati mantenendo il solo controllo della parte periferica a Est e a Nord della città per i successivi sei mesi, ma io non riesco a tradurre in parole quello che significa vivere in quella città. Non tanto per gli allarmi antiaerei all’ordine del giorno, che ormai nessuno ascolta più, ma perché la città è svuotata di almeno tre quarti della popolazione e porta segni indelebili di una distruzione incredibile.

Ricorderete che la strategia iniziale dell’aggressione russa era di arrivare a Kiev, prendere il potere ed esautorare la figura di Zelens’kyj. Poi da lì, con il controllo della capitale e di tutte le istituzioni, unito al controllo che già aveva della Crimea e delle due regioni di Luhansk e Donetsk, la Russia si sarebbe dovuta impossessare del paese. Karkiv era uno dei punti strategici principali. Lo hanno detto anche illustri osservatori di geopolitica internazionale che la convinzione della Russia era di arrivare a Karkiv con una facilità disarmante e anche trovare una buona accoglienza da parte della popolazione. Così non è stato. Se un risultato la Russia l’ha ottenuto è stato di avere unito il popolo ucraino. Che era una democrazia molto instabile, ci mancherebbe, sicuramente non è il miglior sistema democratico del mondo, ma quanto meno c’era un’alternanza a livello istituzionale, mentre in Russia Putin ha mantenuto il controllo assoluto dal 1999 a oggi.

In questo lasso di tempo, Putin internamente al suo paese ha dichiarato guerra alla Cecenia, applicando un genocidio reale, solo che la Cecenia non interessa a nessun e non ricordo alzate di scudi nei confronti della Russia per quello che fatto con i ceceni (io ho scritto un libro sul caso simbolo della scuola di Beslan, passata alla storia come la scuola presa d’assalto dai terroristi ceceni, quando in realtà la responsabilità di tutte o quasi tutte le vittime, trecentocinquana persone, è a carico dei russi). Poi nel 2010-2011 c’è stata la seconda guerra di Cecenia, con la popolazione civile ancora una volta trucidata nel silenzio di tutti.

Nel 2008 sono stato in Georgia perché due mesi prima, senza che nessuno al mondo protestasse, Putin l’aveva invasa prendendosi due pezzi di territorio: l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia. La giustificazione era che vivendo lì una popolazione russofona, quella era terra russa.

Andiamo avanti e arriviamo alla Siria. Un illustre collega durante un dibattito, tessendo le lodi della Russia disse che aveva fatto un grande lavoro nei confronti dell’ISIS e che quindi se il terrorismo islamico era stato sconfitto era merito della Russia: sappiamo bene che gli unici che hanno combattuto a terra contro l’ISIS sono stati i curdi e non certo le bombe di Putin che ancora oggi, mentre noi parliamo, continuano a fare morti tra la popolazione civile.

Questo non è un punto di vista, ma è la presa di coscienza di una situazione in cui il leader di una grande potenza militare, dopo tutto questo preambolo che ho fatto, nel 2014 appoggia i filorussi delle repubbliche separatiste di Luhansk e Donetsk. Nessuno dimentica quello che ha fatto il battaglione ucraino Azov e le altre milizie alla popolazione civile filorussa. Io sono stato a Sloviansk, città conquistata e poi ripresa dagli ucraini, dove il fotografo italiano Andy Rocchelli, è stato ucciso da una granata sparata con l’obiettivo di uccidere, partita da una posizione ucraina. Voglio dire che nessuno minimizza e dimentica quello che una determinata parte della forza militare ucraina ha fatto, ma non si può perdere di vista lo scenario di fondo. E dalla parte opposta non è che ci siamo milizie progressiste…

Torniamo all’attuale conflitto e al dibattito in corso: io trovo posizioni sotto certi profili anche condivisibili, come il fatto di voler raggiungere subito la pace, da persona di sinistra non posso non essere d’accordo. D’altra parte, però, c’è la realtà sul campo. Se l’Ucraina non avesse a disposizione il modo per proteggersi e ribattere, la guerra sarebbe certamente già finita. Ma a quale prezzo? Pensate che la Russia si fermerebbe? Dopo tutto quello che è successo dal 2000 al 2022 pensate davvero che la Russia si fermerebbe all’Est dell’Ucraina?

Questa è un’aggressione nei confronti di un popolo e io credo che sia giuso sostenere gli aggrediti. Poi, se qualcuno ha la soluzione per risolvere il conflitto senza mandare più armi… ben venga, ma non credo che il Cremlino sia interessato ad ascoltare la diplomazia internazionale; non si negozia con Putin (e in questo momento non si negozia neanche con gli ucraini, sia chiaro).

 

SERGIO. Pierfrancesco dice che la popolazione ucraina resiste, questo libro che avete pubblicato come Edizioni Malamente dà voce proprio a chi sta resistendo, a chi non vuole finire sotto i russi e sta rischiando in prima persona. È comunque vero che, nonostante sembra sia un discorso rimosso, ci sono anche le diserzioni, non poche. Vittorio, anche tu sei stato di recente due volte in Ucraina, a te la parola.

 

VITTORIO. Dopo appunto due viaggi fatti da me e da altri compagni e compagne in Ucraina (altri ci sono tornati anche per periodi più lunghi) abbiamo voluto raccontare, all’interno di una resistenza popolare che vede al momento un’unità insperata e anche un po’ improbabile, quelle che sono le posizioni più vicine alla nostra sensibilità di anarchici, antifascisti, femministe.

Da un po’ di anni noi guardavamo da quella parte con non abbastanza intensità, perché tutti e tutte secondo me abbiamo sempre avuto un certo pregiudizio rispetto a quello che si muoveva nell’Est Europa, come qualcosa di nostalgico dell’epoca sovietica o come qualcosa di ancora immaturo: l’idea era che loro fossero su un percorso che li avrebbe portati verso l’Occidente ma ci voleva ancora un po’ di tempo. Questo è un dibattito che all’interno della sinistra, in particolare in Germania, è stato molto animato e proprio in Germania i compagni e le compagne hanno colto per primi l’elemento positivo e originale della resistenza anarchica, libertaria, femminista in Ucraina; non a caso i gruppi che da subito hanno sostenuto quegli elementi che in Ucraina prendevano parte alla resistenza armata sono stati gruppi tedeschi, austriaci, svizzeri, francesi; in Italia noi forse tra i primi abbiamo iniziato a guardare in questa prospettiva.

Certamente non diciamo che in questo conflitto dobbiamo sostenere l’Ucraina come Stato, perché il discorso della guerra improntato sulla geopolitica e sui governi non ci appartiene. Noi non pensiamo che la libertà e il benessere dei popoli si ottengano attraverso la difesa degli Stati e dei confini. Noi guardiamo alla popolazione ucraina che sta subendo questo conflitto.

Tutto il prologo del conflitto in Donbas non ha affatto visto la partecipazione compatta della popolazione ucraina. È vero che c’erano posizioni nazionaliste e naziste come quelle del battaglione Azov, posizioni di gruppi neofascisti che volevano trasformare quel conflitto in una resa dei conti con i russi, ma tanti altri quel conflitto non lo volevano. La sinistra ha perso quasi subito l’egemonia nella protesta di Maidan (2013-2014) – una protesta contro il governo filorusso dell’epoca per spostare l’asse politico dell’Ucraina verso l’Europa – che soprattutto dal punto di vista della piazza e della violenza politica è stata egemonizzata dai neofascisti. Ma quella piazza non era una piazza in sé neofascista. Gli anarchici e tutto quel mondo non sottomesso al capitalismo esiste, anche se in una condizione molto difficile perché in questi anni ha vissuto sotto l’incudine di questo conflitto e di questa egemonia culturale della destra per le strade. Ma non possiamo lavarci le mani di tutto quello che succede in Ucraina solo perché lì c’è – anche – l’estrema destra.

Nei nostri viaggi abbiamo posto subito questa domanda: ma qui i fascisti quanti sono? Quanto pesano? Voi come fate ad andare a combattere al fronte insieme a loro? Le risposte che ci hanno dato sono ben articolate, le trovate nelle interviste pubblicate, ma ci dicevano anche: ma come? Voi venite dall’Italia e ci parlate di fascisti? Nel senso che le percentuali di fascisti nel parlamento ucraino sono sempre state ridicole nei confronti di quelle del partito che governa in Italia.

Noi abbiamo voluto avvicinare chi in questo momento sta combattendo, con una sensibilità affine alla nostra, e dargli una mano. Oggi ci sono almeno 150 uomini e donne, ragazzi e ragazze, che combattono in diverse unità militari e hanno puntato fin dall’inizio del conflitto a darsi un’identità collettiva riconoscibile. La loro scelta spesso è dovuta anche a motivazioni personali, sono persone che non hanno mai combattuto prima, a parte qualcuno non ci sono veterani del conflitto in Donbas ma persone che hanno preso le armi indignate dall’invasione russa. Si sono quindi dati un’organizzazione collettiva, come quella di Solidarity Collectives che prende la solidarietà materiale dall’Europa e la versa dentro la rete di questi combattenti, attraverso l’acquisto di materiali medici, giubbotti antiproiettili, visori notturni, droni per la sorveglianza, veicoli per l’evacuazione dei feriti ecc.

Stiamo appoggiando lo sforzo bellico? Sì. Stiamo appoggiando lo sforzo bellico della NATO? No. Noi abbiamo visto una società intera tirata per i capelli dentro questo conflitto; alcuni hanno scelto di combattere, altri hanno scelto, anche giustamente, di disertare. Ma se vedo un collettivo che si organizza per resistere dentro questo contesto infernale, penso che sia mio dovere etico sostenerlo, con tutte le contraddizioni che questo porta. Lo faccio da una posizione che personalmente non è pacifista, anche per coerenza con quello che ho e abbiamo sempre sostenuto in passato: la resistenza contro l’ISIS in Rojava, gli zapatisti in Chiapas e tante altre lotte che abbiamo ritenuto giuste.

Inoltre, pensiamo che sia giusto sostenere quella parte di società che prova a resistere anche sul piano della sopravvivenza politica: quello che ci hanno spesso ripetuto è che se non combattono ora, la possibilità di continuare a esistere politicamente in Ucraina è finita. L’estrema destra diventerebbe ancora più forte ed egemone.

C’è da dire che le componenti che si esprimono in questo libro, oltre ad essere contro Putin sono anche molto critiche verso quello che il governo di Zelensky sta facendo. Ad esempio un gruppo trotzkista che si chiama Social Movement, piccolo ma molto visibile, sta promuovendo petizioni contro le leggi che il governo sta facendo per restringere i diritti dei lavoratori, cerca di organizzare un’iniziativa politica in un contesto che non è certo quello di fare le manifestazioni a Kiev in questo momento.

 

SERGIO: Diamo ora la parola a Roberto a cui chiederei anche di analizzare il ruolo di un convitato di pietra che non è stato nominato, ovvero la NATO; è evidente che uno schieramento occidentale compatto sta sostenendo l’Ucraina e che ci sono anche interessi più profondi in gioco.

 

ROBERTO: Nella Rete per la pace confluiscono personalità diverse tra loro e il discorso che portiamo avanti è quello del pacifismo politico. Noi siamo convinti non tanto che il pacifismo sia la ricetta che va bene sempre e comunque, ma che sia la ricetta che va bene in questo caso. La scelta del negoziato, della trattativa, della diplomazia è la scelta adatta a questo tipo di conflitto che, a differenza di altri conflitti contrappone direttamente le superpotenze e mette in campo il rischio concreto di un’escalation che arriva alla guerra nucleare. O perché voluta o per sbaglio, perché l’apparato è fatto anche di automatismi, di risposte automatiche che non si controllano. Per un precedente dovremmo tornare alla crisi del 1962, con l’installazione dei missili sovietici a Cuba, ma in quel caso non c’era una guerra guerreggiata già calda in atto. Questo rende la questione pericolosissima, come mai si è verificato finora.

Penso che bisogna risalire un po’ indietro nel tempo per capire come si è arrivati a questo punto, perché sono convinto che la guerra in Ucraina sia il punto di caduta di una tensione internazionale che è andata aumentando negli anni, non è venuta fuori così per decisione di Putin ma c’è stato un processo di maturazione, da parte dell’Occidente e della Russia, che ha portato a questo conflitto. Il contrasto internazionale ha origini profonde, potremmo accennare al fatto che l’equilibrio che era stato determinato dalla Prima e dalla Seconda guerra mondiale non c’è più; era un equilibrio che non ci piaceva, ma che ha garantito una convivenza tra le superpotenze e che è venuto meno dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica.

All’atto della riunificazione della Germania c’era stato l’impegno assunto dagli USA a non estendere la NATO oltre il fiume Elba, ma è vero che era solo un impegno a parole, non è stato scritto nero su bianco, e infatti abbiamo visto un allargamento progressivo della NATO a Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Bulgaria, Slovacchia. Il discorso che l’abbiano chiesto i popoli è risibile, perché questo allargamento  è stata una scelta deliberata di chi governa la NATO, gli Stati Uniti, di rafforzare la loro alleanza. Può essere comprensibile che questi paesi prima nell’orbita sovietica volessero, anche dal punto vista militare, passare dall’altra sponda, ma allo stesso tempo se si voleva pensare a un futuro di pace e di equilibrio è evidente che non era la strada migliore. La logica delle superpotenze non ci piace ma esiste. Il fatto che possano rispettarsi e trovare un equilibrio il meno contradditorio e doloroso possibile per i popoli deve essere un obiettivo praticabile. Ma il problema è che l’Ucraina è diventata il punto di ricaduta di questa tensione accumulata nel tempo.

Io non sono esperto dei meccanismi diplomatici, ma vedo che iniziative, tentativi, prese di posizioni, incontri tra gli Stati… di tutto questo non si è fatto niente. Se non si può riunire il consiglio di sicurezza ONU, questo non toglie che si possano prendere altre iniziative per affrontare i nodi alla base del conflitto. Invece c’è solo il papa che ogni tanto prende delle posizioni, dopo di che finisce lì. E in questo quadro l’Europa ha rinunciato alla propria capacità di intervenire e di fare proposte. È completamente scomparsa.

La nostra è anche la posizione della Costituzione: di fronte a un conflitto a livello internazionale dovremmo impegnarci nella trattativa, per trovare una composizione. Voi pensate sia realistico ragionare sulla sconfitta in battaglia della Russia? Io penso proprio di no. Quindi continuare la guerra in questo modo porterà probabilmente, in ogni caso, alla distruzione dell’Ucraina, se non porterà anche peggio, cioè a quell’escalation che tutti temiamo vista anche la quantità e qualità degli armamenti messi in campo. Siamo arrivati ai carrarmati, poi ci sono i caccia. Andando avanti così non c’è via d’uscita e a noi resteranno solamente i morti.

Si può costruire una prospettiva non partecipando alla guerra, disertando, perché fare la concorrenza ai militari a me non convince per niente, trovo sia un’illusione che mi rimanda all’illusione della Prima guerra mondiale quando molti volontari andarono a combattere animati da uno spirito mazziniano, ma poi la guerra è stata altro e dopo la guerra non si è rafforzata la posizione dei democratici, anzi.

Il motivo per cui noi facciamo il presidio tutte le settimane è questo: denunciare la gravità assoluta di quello che stiamo vivendo. Stiamo vivendo un’enormità. La posta in gioco e gli esiti di questo conflitto sono l’anticamera del baratro in cui non vogliamo cadere.

 

SIMONA: Porto la mia voce femminile, di una signora che ha lavorato sempre nel sociale ed è spaventata da questa guerra. Con Roberto e altri amici vado in piazza ogni settimana, perché al di là di tutte le riflessioni io sento che la violenza non può dare soluzioni alle nostre vite. È una cosa che ho sempre sperimentato. Sono pienamente consapevole, anche come donna, che questo nostro mondo è pieno di violenza, è pieno di male, ma non certo lo risolviamo con altra violenza. L’idea di rispondere con le armi a una situazione di ingiustizia per me è incomprensibile. Non vorrei mai mettere mano a un’arma. Non riesco a dimenticarmi di quello che sono e pensare a una realtà geopolitica in cui posso accettare altri valori: quello che vale per me come persona vale per la geopolitica, vale per la lotta contro il capitalismo, per le battaglie femministe, per tutto.

Penso anche a quello che è successo nel nostro paese, mio padre ha vissuto il bombardamento a Chiaravalle, era anziano e ancora piangeva per quello che aveva visto. Penso ogni giorno con terrore a quello che sta succedendo.

 

NICOLA. Questa serata penso che abbia una ricchezza importante perché possiamo fare quei dibattiti che si vedono in tv senza la retorica insopportabile della tv, possiamo prendere onestamente una serie di posizioni e confrontarci senza pregiudizi.

Io sono contrario all’invio delle armi in Ucraina quindi, riducendo il dibattito alla politica da ultras che va per la maggiore in Italia, sarei considerato un filorusso o filoputiniano. Roberto ha detto una cosa a mio avviso fondamentale: siamo per la prima volta davanti a un evento che non abbiamo mai visto prima, cioè a una guerra con un arsenale nucleare. L’unica e ultima volta che abbiamo visto l’atomica è stato alla conclusione di una guerra; la Seconda guerra mondiale non è infatti cominciata con le armi nucleari in mano. Io parto da questo presupposto: ci troviamo davanti a una possibile guerra nucleare, quindi quando ragiono di fronte a questo conflitto, il piano di caduta per me non è tanto l’Ucraina, ma è evitare la guerra nucleare. Questo è il mio fine.

Le prese di posizione e le conseguenze logiche dipendono appunto dal fine che ci diamo. Vincere militarmente la Russia? Liberare l’Ucraina intesa come nazione? Difendere una democrazia fragile accogliendola nell’Unione Europea? Io sono contrario all’ingresso dell’Ucraina nella UE e sono anche per l’espulsione di Ungheria e Polonia, perché la storia ha tempi diversi e il tempo storico in cui queste popolazioni vivono non è il tempo storico nostro. La dimensione nazionalista, revanscista, che loro legittimamente vivono, noi l’abbiamo attraversata più di un secolo fa. Lo Stato ucraino si sta creando adesso nel ferro e nel fuoco. Io questo lo rispetto come elemento, ma come posso chiedere a un popolo che si sta costituendo in azione di abbandonare la propria sovranità per poter stare in un percorso federale europeo? Non sta nelle corde della loro storia, saremmo arroganti a imporlo. Credo che si devano rispettare le storie delle varie nazioni, dividere i tempi e non omogeneizzarli dentro un orizzonte sostanzialmente capitalistico.

Secondo elemento: siamo convinti che non ci siano obiezioni rispetto all’integrità territoriale che rivendichiamo per l’Ucraina? L’attuale Ucraina è un ex pezzo di Russia, un ex pezzo di Polonia e un ex pezzo di Romania, che Lenin, Stalin e Krusciov hanno messo insieme. Quello Stato che noi vediamo aveva un senso dentro l’Unione Sovietica, non era mai stato immaginato fuori di essa; siamo quindi così sicuri che in assenza di Unione Sovietica l’Ucraina di cui parliamo sarebbe quella attuale? Qui entriamo in un altro discorso complicato. Considerare l’Ucraina come qualcosa di storicamente immobile è una falsità. E non mi sento affatto filoputiniano se sono disposto a ragionare su queste cose. Quel che l’Ucraina sarà lo determineranno i rapporti di forza di quel popolo nel momento in cui si sta costruendo come nazione.

Penso che questa guerra troverà una sua pausa quando si tratterà. Il problema è che la trattativa viene sempre rivolta alla questione del territorio, ma per me non è quello il punto. La trattativa si dovrebbe concentrare sul ruolo della NATO e sul riequilibrio geopolitico mondiale. Quella trattativa poi ricadrà sui territori. Se vogliamo evitare la terza guerra mondiale, l’elemento fondamentale è di aprire la discussione sull’equilibrio non unilaterale della geopolitica mondiale. Solo questo può essere il punto di salvezza per l’Ucraina, altrimenti non c’è scampo, non potrà mai battere militarmente la Russia, né potrà mai riprodursi la dinamica Stati Uniti-vietcong (non sono stati i vietcong ad avere sconfitto gli americani, ma sono gli americani ad aver sconfitto loro stessi, è il fronte interno che li ha fatti crollare e questo in Russia non esiste).

Quindi, io non mi sento assolutamente filorusso o filoputiniano e se non ci fosse la bomba atomica di mezzo la mia posizione forse sarebbe anche diversa, ma nella mia riflessione ci metto anche un elemento forte: la paura per quello che potrebbe succedere.

 

FRANCESCO. Io vorrei portare il punto di vista del pacifismo più integrale e radicale, presente a Senigallia da tantissimo tempo, con tutte quelle associazioni e movimenti che fanno parte della Scuola di pace. La Scuola di pace aderisce alla Rete che si è formata ed è presente al presidio settimanale.

Noi abbiamo sempre cercato di portare a conoscenza e di sottolineare l’assurdità di tutti i conflitti presenti nel mondo; la nostra posizione è sempre stata coerentemente contraria a qualunque forma di lotta armata, qualunque sia il motivo storico, politico o geopolitico. Noi partiamo da un dato di fatto, ovvero che la guerra fa un sacco di morti, che sono prevalentemente innocenti, civili, persone mandate al massacro e questo è umanamente del tutto inaccettabile. Oggi, per nessun motivo, una persona può essere chiamata a morire per difendere una qualunque idea. Questa posizione, magistralmente espressa da Aldo Capitini e da tanti altri, è la più coerente possibile.

Noi manifestiamo adesso perché c’è questa guerra, ma abbiamo manifestato nel corso degli anni contro tutte le guerre. Noi non siamo contrari a questa guerra solo perché c’è la minaccia nucleare; anche se non ci fosse questa minaccia, anche se non ci fosse Putin ma chiunque altro, noi saremmo comunque contrari perché il nostro obiettivo è estirpare come un cancro la guerra dal mondo e dare addosso a tutti quelli che contribuiscono alla presenza di armi, a partire dai loro costruttori e mercanti. Siamo quindi per la diserzione a tutti i livelli. Non importa se la guerra è considerata giusta o ingiusta: tutte le guerre sono sbagliate.

Gli esempi storici a cui possiamo fare riferimento non sono tanti, perché veniamo da almeno due millenni di guerra guerreggiata maschilista, ma ci sono. C’è il Mozambico, c’è la resistenza norvegese contro i nazisti, c’è la resistenza dell’India di Ghandi: un popolo che si organizza e ci crede fino in fondo può sconfiggere con i metodi non violenti e con la difesa civile, popolare, anche un despota invasore. Bisogna crederci, provarci, organizzarsi. Questo è il futuro, il resto sono discorsi che appartengono al secolo scorso.

Io sono per un pacifismo radicale ma concreto. Cominciamo dal ridurre le spese militari, si può fare. Cominciamo a non pagare una parte di tasse che vanno all’apparato militare, si può fare. Queste sono le battaglie che fa la Scuola di pace porta avanti.